Tony-Alonzo__FIL-ROUGE_g copiaC’è un fil rouge che da Oriente è arrivato in Occidente e inalterato attraversa il tempo con il suo intento che è quello di rispondere alle grandi domande della Vita.

L’Occidente ha dato il suo contributo ed ora è pronto a rimandare verso Oriente il filo della ricerca, perché anche se i mezzi sono diversi lo scopo è lo stesso: la conoscenza di Sé basata sui principi: come in cielo, così in terra, come dentro, così fuori.

 

LE ORIGINI: I VEDA

I primi tentativi di rispondere alle “grandi” domande risalgono a molti, molti anni fa e lo strumento principe fu la meditazione che ancora oggi viene considerata il primo tentativo dell’uomo di mettersi in contatto con la dimensione trascendente.

Nei Veda, i più antichi testi sapienziali dell’India, composti secondo alcuni tra il 1500 e il 1200 a.C. e secondo altri addirittura tra il 4000 e il 2500 a.C. e soprattutto nei Rgveda, vi sono forme di proto-meditazione che veniva utilizzata per mettersi in comunicazione con la divinità.

Ai Rshi, (dal sanscrito “cantori ispirati”), fu consegnata quest’opera religiosa, non composta da esseri umani, perché potessero cantarla agli uomini.

Le tecniche meditative utilizzate dai Rshi erano (e lo sono ancora oggi sono):

  • la meditazione mantrica, cioè la ripetizione di frasi, parole, lodi, invocazioni
  • la meditazione visiva basata sulla visualizzazione di dei o simboli come la luce, il sole, il fuoco
  • la meditazione che fonde cuore e mente, cioè basata su un’idea, un concetto in grado di fissare l’attenzione del celebrante

La meditazione nasce da un’interiorizzazione del rituale e ciò diventa più evidente nelle Upanishad che sono il commento e la conclusione dei Veda.

In questi testi si evidenzia il concetto che il divino è già dentro di noi, anche se velato e può essere sperimentato attraverso discipline yogiche e la pratica della meditazione.

La meditazione rende possibile trascendere lo stato normale di coscienza, che è uno stato offuscato di conoscenza e permette di sperimentare direttamente la realtà del Brahman, dell’assoluto, del divino.

Nelle Upanishad è scritto che l’Atman è l’a-priori per eccellenza, ciò che si trova prima della parola, della sensazione, del pensiero, della coscienza.

Dice la Brhad-upanishad, all’origine esisteva solo l’Atman, sotto forma di Purusha.

Purusha significa colui che essendo anteriore ad ogni cosa [purva], arde [us] chiunque desideri precederlo.

Brahman pronunciò le parole: “so’ham“ (io sono), questo è il momento in cui la divinità (Brahman) riconosce se stessa (Atman).

Il primo atto di consapevolezza diventa anche il primo atto creativo, l’essere assoluto si dissociò internamente fra soggetto conoscente e oggetto conosciuto.

Per questo motivo il pensiero non riesce a definire l’Atman perché qualsiasi definizione si trova sempre a posteriori, di lui possiamo dire solo quello che non è, cioè dare definizioni negative. Non può essere oggetto di conoscenza mentale o sensibile, lo si può solo essere.

Personalmente trovo questa teoria molto affascinante, attuale e conforme alla mentalità occidentale moderna.

mona hubbleLa galassia attiva Markarian 817. Cortesia: NASA, ESA e the Hubble SM4 ERO Team

Leggendo alcuni articoli, su Internet, che parlano delle teorie scientifiche attuali riguardanti la creazione dell’universo, ho trovato un’affermazione molto interessante: il ben noto modello cosmologico del Big Bang parte dall’idea che l’universo iniziò ad espandersi a partire da una condizione iniziale estremamente calda e densa (il purusha?) e che non è stata un’esplosione di materia che si muove verso l’esterno per riempire un universo vuoto, ma lo spazio stesso che si espande con il tempo dappertutto e aumenta la distanza fisica tra due punti comoventi (brahman e atman?). [In cosmologia la distanza comovente è un modo conveniente per definire le distanze tra oggetti in maniera indipendente dal tempo: è la separazione che gli oggetti avrebbero oggi se entrambi gli oggetti non si muovessero. Wikipedia]

angelo hubble copiaLa nebulosa planetaria NGC 6302, nota anche come Nebulosa Farfalla (“Butterfly Nebula”). Cortesia: NASA, ESA e the Hubble SM4 ERO Team

Queste fotografie scattate dal telescopio Hubble possono a mio avviso rendere l’idea di Brahman che prende coscienza di se stesso, di esistere e pertanto si scinde in osservatore e oggetto di osservazione.
Il ricercatore-scienziato utilizza il telescopio in cerca delle stesse risposte che il saggio orientale cercava dentro di sé 6000 anni fa (forse anche prima).

Seguendo il principio: come dentro – così fuori la meditazione diventa un grande telescopio rivolto all’universo dentro di noi, per osservare, ascoltare e conoscere, riproponendo il primo atto che Brahman fece, prendendo consapevolezza di esistere, diventando osservatore di se stesso.

Non credo ci sia niente di più antico e attuale allo stesso tempo e di più valido, come strumento per la conoscenza di Sé.

Marzia Defendi

 

Bibliografia:
Claudio Lamparelli, Tecniche di meditazione orientale, Mondadori
Internet – Wikipedia